Discussione generale
Data: 
Martedì, 25 Novembre, 2025
Nome: 
Rachele Scarpa

A.C. 2528

Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, Ministra Roccella, noi oggi voteremo convintamente a favore di questo provvedimento e lo faremo non solo per dovere istituzionale, ma con la consapevolezza che oggi noi, in quest'Aula, stiamo dando un segnale. Vedere la maggioranza e l'opposizione unite nel riconoscere la natura specifica, odiosa e strutturale del femminicidio è un messaggio potente, è un messaggio che dice all'esterno: lo Stato c'è.

Io credo che sia un atto dovuto soprattutto alle famiglie delle vittime: a quei padri, a quelle madri e a quelle sorelle che per anni si sono sentiti dire che la tragedia che ha devastato le loro vite era un raptus, che si sono sentiti dire che era un momento di follia, che era una questione privata. Oggi la legge italiana dice “no”, oggi la legge quel femminicidio lo vede in quanto tale, e soprattutto oggi la legge riconosce che uccidere una donna in quanto donna è un crimine che affonda le sue radici in un terreno molto specifico.

Questo voto arriva dopo un importante lavoro parlamentare. Prima di questo lavoro mancavano al testo proposto il rafforzamento degli obblighi formativi, l'estensione delle tutele agli orfani, il potenziamento del braccialetto elettronico, la rimozione dei limiti alle intercettazioni, le garanzie procedurali per la persona offesa e l'accesso facilitato ai centri antiviolenza per le persone minorenni. Arriva anche - dopo un altro segnale fondamentale, frutto di un'intesa preziosa tra le diverse parti politiche - l'introduzione del concetto di consenso libero e attuale nel reato di violenza sessuale. Stiamo, insomma, un passo alla volta, avvicinando il codice penale alla sensibilità reale che, già da tempo, sta crescendo nel nostro Paese e di questo, colleghi, io penso che possiamo essere tutte e tutti fieri.

Tuttavia, proprio questo spirito unitario, che io so essere sincero, sento anche il dovere di onorarlo con la verità, e la verità è che non possiamo e non dobbiamo, non abbiamo il diritto di fermarci qui. Non possiamo, colleghi, usare questa legge per pulirci la coscienza, perché sappiamo tutti nel profondo una verità terribile: l'introduzione di questo reato, da sola, non fermerà i femminicidi. Quando arriveremo a condannare il prossimo uomo all'ergastolo grazie a questa norma sarà già morta un'altra donna, sarà già morta un'altra sorella. Se ci limitiamo alla repressione, se pensiamo che la deterrenza o la minaccia della pena possano essere l'unica risposta o anche solo la risposta principale, i nostri “mai più” risuoneranno vuoti, e la soddisfazione per il voto di oggi rischierà di suonare stonata, se non ipocrita, di fronte alla prossima notizia di cronaca, perché se riconosciamo che il fenomeno è strutturale e se arriviamo addirittura a metterlo nero su bianco nei testi delle nostre leggi, allora abbiamo la responsabilità di affrontarlo come strutturale, e quindi di affrontarlo a tutto tondo.

Vorrei concentrarmi, quindi, in questo intervento su tre vuoti che io penso che dovremmo colmare subito con la stessa unità con cui lo stiamo facendo oggi, con la stessa unità con cui l'abbiamo fatto la scorsa settimana. Il primo vuoto è quello che riguarda i dati. Non si può curare ciò che non si conosce a fondo, e oggi le banche dati nei nostri Ministeri non comunicano tra di loro. Abbiamo, non a caso, dei dati molto sottodimensionati. Come possiamo verificare l'efficacia delle misure cautelari se non abbiamo un quadro completo? Un migliore approccio ai dati significa capire perché un braccialetto elettronico non ha suonato o perché una denuncia è stata archiviata troppo presto; significa darsi tutti gli strumenti per rendere la protezione veramente efficace, e un migliore approccio su questo sarebbe veramente un punto di partenza fondamentale.

Il secondo punto riguarda le risorse. Noi sappiamo che le leggi camminano sulle gambe delle persone e, per formare il personale delle Forze dell'ordine, il personale giudiziario e tutte le persone che entrano in contatto con una vittima di violenza, servono risorse e serve riorganizzazione. Bene il lavoro fatto, in particolare, all'articolo 8 di questo provvedimento, ma affrettiamoci a potenziarlo, colleghi, non pensiamo che basti. La protezione delle vittime, appunto, la formazione di chi risponde al 1522, tutta l'esistenza, in realtà, la sussistenza della rete dei centri antiviolenza soprattutto nei territori marginali dipende ed è strettamente legata ai fondi. Io su questo, peraltro, vorrei ricordare il lavoro e il segnale che abbiamo voluto dare, nella scorsa legge di bilancio, come opposizioni quando abbiamo impiegato l'intera quota di risorse a nostra disposizione proprio per finanziare questo tipo di interventi. Portiamo questa spinta in modo unitario di nuovo in quest'Aula con un provvedimento il prima possibile.

E il terzo punto è quello più difficile, quello che richiede più coraggio: dare il giusto nome alle cose e cercare di costruire interventi che sradichino la violenza alla radice. Ho ascoltato, in questi giorni, una definizione di quello che io chiamo patriarcato che ho trovato utile, che mi ha colpito. La cito testualmente: “C'è una sedimentazione anche nella mentalità dell'uomo, del maschio, che è difficile da rimuovere perché è una sedimentazione che si è formata in millenni di sopraffazione, di superiorità”. E colleghi, queste non sono le parole di un pericoloso collettivo transfemminista, sono le parole del Ministro Nordio poco prima di pronunciare quelle passate molto di più al vaglio della cronaca, molto più infelici, sulla natura genetica di questa sopraffazione.

E allora, anche se penso che sia grave, soprattutto da parte di un Ministro, e superficiale non saper distinguere tra genetico e culturale, io vorrei cogliere il punto che il Ministro Nordio evidenziava: c'è una sedimentazione millenaria delle disuguaglianze tra uomo e donna che sta alla radice della violenza di genere; un problema culturale, appunto, che attraversa il potere, il lavoro, il linguaggio, il modo in cui viviamo il sesso, il possesso e il rifiuto. E allora io chiedo a quest'Aula: come si rimuove una sedimentazione lunga millenni? Per come sono cresciuta io, per quello che ho studiato, per gli strumenti che ho, la risposta che mi viene in mente è solo una: si rimuove da dove ci formiamo tutti quanti, allo stesso modo, come cittadini, come esseri umani. Si parte dalla scuola pubblica.

E allora penso che qui noi dobbiamo tornare ad avere il coraggio di parlare di educazione all'affettività e alla sessualità. Lo dico molto chiaramente, io voglio rifiutare la polarizzazione odiosa che ho letto in questi giorni e che qualcuno sta cercando di costruire ad arte. Rifiuto l'idea che l'educazione sessuale e all'affettività sia una bandierina della sinistra per indottrinare i bambini, e rifiuto anche la narrazione del “paradosso nordico”. Sono contenta che ci sia oggi la Ministra Roccella qui ad ascoltare, perché ha utilizzato questa teoria per sminuire il ruolo dell'educazione sessuale rispetto alla prevenzione dei femminicidi. La scienza ci dice, però, che per valutare l'efficacia di una cosa serve rigore, servono protocolli seri e non osservazioni superficiali, e se la Ministra andasse ad approfondire meglio gli studi che sono stati fatti sull'impatto dell'educazione sessuale anche nei Paesi nordici, vedrebbe che hanno avuto un impatto positivo sulla prevenzione dei femminicidi, e che due dati del genere non possono essere messi in correlazione, come ha fatto lei.

Ma lasciamo perdere la teoria per un istante, io vorrei anche che guardassimo in faccia la realtà. Quando il Governo parla di educazione, a me sembra che lo faccia spesso in modo astratto e che si dimentichi un po' dell'elefante nella stanza, che è il desiderio degli adolescenti: questa parola che sembra quasi proibita, un desiderio che genera caos. E allora noi che risposte stiamo dando a questo caos nella vita degli adolescenti? Perché nelle scuole, colleghi, non c'è l'ideologia gender che incombe, c'è la vita che esplode e che non ha strumenti per essere gestita e interpretata; c'è il ragazzino che non sa gestire le pulsioni del proprio corpo e che vive la sessualità come una vergogna; c'è l'adolescente che fa commenti molto espliciti sotto le foto delle sue compagne ma poi non riesce a guardarle negli occhi; c'è la ragazza di 15 anni che scambia il possesso per amore, che vede il controllo del fidanzato come un segno di interesse; c'è chi si sente isolato e sbagliato perché il suo corpo cambia in un modo che non riconosce e finisce nel vortice dell'anoressia o dell'autolesionismo; c'è il bullismo feroce contro il ragazzo che mette lo smalto non per ideologia, ma perché sta sperimentando chi è; c'è la confusione tra la pornografia e la realtà, con i ragazzini che imparano il sesso da video violenti e pensano che quella sia la norma, che il consenso sia un optional, che il piacere sia solo maschile; e ci sono ragazzi che si amano, che si desiderano, che si fanno male e che hanno paura. Queste sono le domande…

. …che gli studenti ci fanno ogni giorno. A chi dovrebbero chiedere risposte? A PornHub o a ChatGPT? Io non credo. Se noi non vogliamo che questa legge sia l'ennesimo monumento funebre, dobbiamo intervenire soprattutto e anche su questo.